Northanger Comics, ep. 3


Gaia ha appena rinnovato la copertina del nostro progetto: eccola qui, fresca fresca, e spiegata meglio da lei stessa qui. Io, dal canto mio, concludo l'introduzione alla mia tesi spiegando perché, tra i sei romanzi di Jane Austen, ho scelto di lavorare proprio su L'abbazia di Northanger.

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La scelta di adattare in una sceneggiatura e poi in illustrazioni L’abbazia di Northanger, opera giovanile e meno nota della Austen, sta nel divertimento con il quale la si legge. Il romanzo gotico, di cui è parodia, ha un fascino innegabile: emozioni sconvolgenti, sentimenti assoluti, ambientazioni pittoresche e, su tutto, l’ombra inquietante del soprannaturale. E chi, da adolescente, non ha immaginato di vivere le stesse avventure dei propri eroi letterari?
Perciò, non stupisce che una sprovveduta fanciulla della borghesia rurale inglese, entrando per la prima volta in contatto con la vita di città e mettendo poi piede in un antico maniero, immagini di rivivere i segreti e i terrori della protagonista del libro che sta leggendo. Catherine come Emily, dunque, la sfortunata eroina de I misteri di Udolpho di Ann Radcliffe (Milano, BUR, 2010), pietra miliare del romanzo gotico, continuamente citato nel libro della Austen.


Ma qui non ci sono intrighi, patimenti e orrori; per sua fortuna Catherine, scaturita da una penna tagliente e sorprendentemente moderna, non si muove in uno scenario gotico, ove tutto è meraviglia. Al contrario, ogni sua fantasia è puntualmente smentita dalla banalità del quotidiano.
Catherine sogna il suo ingresso in società come una passerella dalla quale catturare l’ammirazione di tutti? Si troverà a far da scomoda tappezzeria in una sala affollata. Catherine crede d’aver trovato una mappa o un documento compromettente? Lo scritto si rivelerà essere solo una vecchia lista della spesa. Catherine pensa d’aver fiutato un mistero? Verrà smentita e rimproverata come una bambina proprio dal ragazzo che ama. Un continuo gioco di fantasia e realtà, una protagonista che fin dalle prime righe l’autrice definisce un’anti-eroina, adorabile nella sua ingenuità e nei suoi timidi smarrimenti.


C’è un’altra forte ragione che ha spinto chi scrive a scegliere questo romanzo: il sentirsi affine a Catherine Morland e, tramite lei, riuscire a ridere delle proprie debolezze. Con molta gratitudine per Jane Austen che, c’è da crederlo, si sarebbe schermita di fronte alla venerazione di cui ancor oggi viene fatta oggetto. Venerazione di cui, seduta nel suo angolo di scrittura, o vicino al camino dove “poteva bere tutto il vino che voleva”, avrebbe riso scuotendo la testa. Ma, forse, con una punta di compiacimento.
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